Cartesio non separava ma distingueva la mente dal corpo
MONICA LANFREDINI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 25 marzo 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Prendendo le mosse da una rassegna di Elk e Aleman (“Meccanismi
cerebrali nella religione e nella spiritualità” in “NOTE E NOTIZIE” del 4 marzo
2017) sulle basi cerebrali dell’esperienza religiosa e della dimensione
trascendente, si è sviluppata una riflessione (V. le “Notule” delle ultime due
settimane: La “Ricerca dello Spirito nel
Cervello” ritorna di attualità in Note
e Notizie 11-03-17 Notule; Cercando lo
spirito nel cervello c’è chi ha trovato l’anima in Note e Notizie 18-03-17 Notule) che ha portato a rivedere
criticamente lo stato attuale del dibattito sulla conciliabilità fra la ragione
della scienza e il sentimento della fede, evidenziando l’estrema attualità
della discussione sviluppata dieci anni or sono in seno alla nostra società
scientifica. Per questo motivo si è deciso di riproporre un testo che
riassumeva gli argomenti principali discussi e, in particolare, un utile
approfondimento sul pensiero cartesiano, spesso erroneamente ridotto alla
creazione di una rigida dicotomia mente/corpo. Se e quanto le ragioni
problematiche in Cartesio rimangano tali ai nostri giorni, è facilmente
desumibile dall’interpretazione proposta da Schwartz di un suo studio di neuroimaging, che si può leggere nelle
“Notule” dello scorso 18 marzo.
Scienza
e fede unite nella ragione
La contrapposizione fra scienza e fede, data per
implicita in un recente dibattito fra Lawrence Krauss
e Richard Dawkins[1], e
nel monologo del Premio Nobel per la letteratura Dario Fo al “Festival della
Creatività”[2], ha suggerito un incontro
dei soci di BM&L-Italia, dal titolo “Scienza e fede unite nella ragione”,
che si è tenuto lo scorso 28 di ottobre a Firenze.
Alcuni argomenti proposti alla discussione, che ha
preso le mosse dal pensiero del fondatore del razionalismo moderno, sono qui di
seguito sintetizzati.
L’attribuzione a Cartesio dell’introduzione nel
pensiero razionale di un’artificiosa e drastica separazione fra mente (res cogitans) e corpo (res extensa),
affermatasi già negli anni Ottanta nella letteratura medico-scientifica di
cultura prevalentemente americana, è divenuta poco a poco “uno stereotipo
acriticamente passato di bocca in bocca e riprodotto di foglio in foglio, senza
più lo scrupolo di una verifica sulla sua fondatezza e, di fatto, diffuso ed
amplificato nella sua portata, in tutto il mondo, da persone prive di una
formazione filosofica” (G. Perrella, Seminario sull’Arte del Vivere. BM&L-Maggio,
2004). Senza nemmeno scomodare i massimi interpreti del pensiero del matematico
francese, ad un’attenta lettura di alcuni suoi scritti e di comuni testi
didattici in uso in Francia e in Italia, emerge chiaramente che la sua analisi
non esita in una separazione, ma nella distinzione di due poli speciali
in un continuum caratteristico dell’essere vivente. D’altra parte, la
presunta negligenza del corpo da parte di Cartesio, della quale si favoleggia
per psittacismo di maniera in tanti seminari di psicologia clinica e convegni
di scienze biomediche, è assolutamente falsa. Chi afferma una cosa simile, non
solo ignora alcuni aspetti importanti degli studi cartesiani, ma mostra di non
aver letto nemmeno l’opera più nota del padre del moderno razionalismo. La
quinta parte del Discorso sul metodo (1637) è, infatti, centrata sulla
fisiologia umana e, in particolare, sulla circolazione sanguigna, e nella sesta
parte si legge: “…mi limiterò a dire che sono deciso ad impiegare il tempo che
mi resta da vivere esclusivamente nel tentativo di acquistare qualche
conoscenza della natura, così da poterne ricavare regole per la medicina più
sicure di quelle seguite fino a oggi”[3].
Cartesio non scinde la mente dal corpo, ma ha
l’esigenza cristiana di distinguere l’anima immortale, posseduta solo
dall’uomo, da tutte quelle manifestazioni del mentale e del cerebrale nel
corporeo che definisce, come molti filosofi e medici del suo tempo, “spiriti
animali”. La sua visione dell’esperienza umana è profondamente radicata nel
corpo, al punto di aver progettato la compilazione di un trattato che spiegasse
in termini di fisiologia tanto la motilità quanto le funzioni psichiche; si
legge infatti nel citato Discorso: “In esso avevo poi mostrato quale
doveva essere la struttura dei nervi e dei muscoli del corpo umano per far sì
che gli spiriti animali che vi sono dentro abbiano la forza di muovere le
membra […] quali cambiamenti debbano verificarsi nel cervello, per causare il
sonno, la veglia e i sogni; in che modo la luce, i suoni, gli odori, i gesti,
il calore e tutte le altre qualità degli oggetti esterni possano imprimervi
diverse idee mediante i vari sensi; in che modo la fame, la sete e le altre
passioni interne possano, anche esse, inviarvi le loro; che cosa dobbiamo
intendere per senso comune, il senso dove tutte queste idee sono ricevute; che
cosa per memoria, la facoltà che le conserva; e per fantasia, la facoltà che le
può in vario modo cambiare e comporne delle nuove, e che, con lo stesso mezzo,
può anche, distribuendo gli spiriti animali nei muscoli, far muovere le membra
di questo corpo in tante maniere diverse…”[4].
Bastano queste parole per fugare ogni dubbio su
quale fosse la ricerca di René Descartes.
Due secoli dopo, lo sfondo culturale sul quale si
staglia il pensiero scientifico in Europa è profondamente mutato e,
dall’egemonia cristiana nella filosofia e nelle ideologie legate al potere, si
è passati alla diffusa prevalenza di un agnosticismo laico nelle istituzioni,
come eredità della Rivoluzione Francese, e di un empirismo logico
tendenzialmente ateistico nel pensiero scientifico, come effetto del
primeggiare delle teorie e della prassi scientifica di oltremanica.
Aveva una solida impostazione razionale e matematica
l’abate Gregor Mendel[5] che,
fissando nelle sue celeberrime tre leggi, della dominanza, della segregazione e
dell’indipendenza, le regole seguite dalla natura nella trasmissione dei
caratteri ereditari, aveva aperto la strada alla moderna genetica.
Probabilmente condivideva l’impianto evoluzionistico del pensiero di Darwin,
per il quale nutriva una grande ammirazione, pur non potendo aspirare ad una
sua diretta conoscenza, data la condizione di celebrità e privilegio in cui
viveva il nobile inglese, scarsamente propenso a rapporti con sconosciuti che
non fossero suoi pari. Mendel conosceva bene l’Origine della Specie di
Charles Darwin, come testimoniato da una copia tradotta in tedesco, conservata
nella sua aggiornatissima biblioteca presso il Monastero di San Tommaso, dove
visse per quasi quarant’anni, fino alla morte. Si tratta della seconda
traduzione nella lingua germanica, condotta sulla terza edizione inglese del
1863. Il volume fu letto ed annotato da Mendel anche con doppie sottolineature
e punti esclamativi. Dalle annotazioni si evince che l’abate era contrariato
per l’idea darwiniana della miscelazione dei caratteri ereditati, perché lui ne
aveva accertato la trasmissione indipendente[6].
Per anni, gli storici della scienza si sono chiesti
quali sviluppi avrebbe avuto il pensiero del padre dell’evoluzionismo se questi
avesse conosciuto le leggi dell’ereditarietà.
E’ documentato che Mendel aveva ordinato quaranta
estratti del suo lavoro sugli ibridi da inviare ai più importanti studiosi di
scienze naturali del suo tempo: Charles Darwin era fra i destinatari.
In quegli anni lo scienziato inglese, incrociando
varietà di bocche di leone con fiori bianchi e rossi, notava che la
prima generazione era di soli fiori bianchi, mentre la seconda era composta di
fiori rossi e bianchi: il motivo gli appariva incomprensibile. Gli estratti del
lavoro mendeliano sulle regole seguite dalla trasmissione dei caratteri negli
ibridi, furono ignorati da quasi tutti i riceventi[7] ed è
documentata una sola risposta, peraltro non troppo lusinghiera[8]. Non
meraviglia, perciò, che l’opuscolo dell’abate, redatto in tedesco, sia stato
rinvenuto intonso su uno scaffale della biblioteca darwiniana.
E’ interessante rilevare che Mendel, cristiano, aveva studiato ed accettato le principali tesi della teoria dell’evoluzione[9], mentre Darwin, ateo, non aveva neppure sfogliato l’opuscolo dell’abate contenente la soluzione di un problema che si portò irrisolto nella tomba […].
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Lawrence M. Krauss and Richard Dawkins, Should Science Speak to Faith? Scientific American 297 (1), 70-73, 2007.
[2] Il Festival della Creatività, che ha visto quest’anno la sua seconda edizione, si è tenuto a Firenze presso la Fortezza da Basso dal 25 al 28 ottobre scorsi.
[3]Cartesio, Discorso sul metodo - per ben condurre la propria ragione e ricercare la verità nelle scienze, p.74, Mondadori, Milano 1993.
[4] Cartesio, op. Cit., pp. 53-54.
[5] Johann Mendel nacque il 20 (alcune fonti riportano il 22) di luglio del 1822, nel villaggio rurale di Heinzendorf (attuale Hynciče) in Slesia, da Anton Mendel e Rosine Schwirtlich. A 21 anni, divenendo frate, assunse il nome di Gregor, italianizzato in Gregorio, con il quale è universalmente conosciuto.
[6] Adriana Giannini, Mendel - Il padre “postumo” della genetica (I grandi della scienza, n.34). Editoriale “Le Scienze”, Roma 2003.
[7] Ad esempio, nella biblioteca di Anton Kerner von Marilaun dell’Università di Innsbruck, il maggior esperto di ibridi dell’epoca, fu trovato l’estratto di Mendel con le pagine ancora da tagliare.
[8] La meditata e documentata risposta di Karl Wilhelm von Nägeli, si risolve in una serie di contestazioni, alle quali Mendel rispose a sua volta con puntuale precisione scientifica in una lunghissima missiva degna di un articolo, alla quale allegò pacchettini numerati contenenti i semi dei piselli necessari alla ripetizione dei suoi esperimenti per una verifica dei risultati. Non vi fu risposta da parte di von Nägeli a questa lettera e nemmeno a quella successiva in cui l’abate, per attrarre l’attenzione sui suoi nuovi esperimenti condotti nel genere Hieracium, si introduce con una narrazione autobiografica in un accattivante stile letterario.
[9] Si è
soliti riferirsi alla complessa articolazione del pensiero darwiniano con
l’etichetta di “teoria dell’evoluzione”, anche perché lo stesso Darwin aveva
l’abitudine di impiegare l’espressione “my theory”, al singolare, in ogni riferimento al suo paradigma
teorico; in realtà si possono distinguere, nell’opera del fondatore
dell’evoluzionismo, cinque teorie fra loro indipendenti in termini logici (si
veda: “Darwin’s Five Theories of Evolution” alle
pagine 97-105 di Ernst Mayr, What Makes
Biology Unique. Consideration on the Autonomy of a
Scientific Discipline.
Cambridge University Press, 2004). Nessuno, tra i maggiori
evoluzionisti, ha accettato tutte e cinque le teorie ed alcuni, come De Vries e
Morgan, hanno recepito solo la prima, ossia quella del progenitore comune.